Omelia dell’Arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli per la messa nel centenario della sezione di Gorizia dell’Ana
Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci presenta un passo che tutti ben conosciamo, perché è l’essenza stessa del cristianesimo e, prima ancora, di tutta la rivelazione dell’Antico Testamento: il comandamento dell’amore. È un comandamento, non un semplice consiglio, e chiede una concreta attuazione. La prima lettura – tratta dalla legge rivelata a Mosè – presenta su questa linea alcune indicazioni concrete, che valgono ancora oggi: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, […] Non maltratterai la vedova o l’orfano […]. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio».
Ma se è un comandamento, anzi il comandamento fondamentale per il cristiano, viene da domandarsi: vale in ogni ambito della vita, vale per tutti, vale sempre? Oppure no?
Scendo al concreto: vale solo nell’ambito familiare e amicale o anche in quello sociale, economico, politico?
Vale solo per le professioni di carattere educativo e sociale, per gli insegnanti, gli educatori, i medici, i volontari, o anche per gli operai, gli imprenditori, i commercianti, le forze dell’ordine e i militari?
Vale, per stare agli alpini, solo quando essi compiono operazioni di protezione civile, di aiuto alla popolazione, di sostegno ai poveri (e ringrazio molto la sezione dell’ANA di Gorizia per quello che fa con grande generosità) o anche quando sono impegnati in operazioni militari?
Il comandamento dell’amore vale solo in tempo di pace o anche in guerra?
Sono domande – queste e altre simili – che sono tutt’altro che banali e che non hanno una risposta facile, mentre interpellano la coscienza di ciascuno.
Notate che c’è anche una versione per così dire laica delle stesse domande, non per questo meno impegnativa. Ci si può per esempio chiedere: la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo vale sempre o solo quando non ci sono tensioni internazionali, guerre, conflitti, terrorismo? E in queste circostanze – per fare un esempio italiano – il principio espresso dall’art. 11 della costituzione italiana, che afferma solennemente: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», può essere sospeso, come in questi giorni il trattato di Schenghen?
Dicevo che sono interrogativi importanti, che esigono risposte vere. Certo qualcuno si può accontentare di una risposta del tipo: “ah, ma quelli – il Vangelo, le dichiarazione dei diritti, la costituzione, ecc. – sono testi ideali, vanno bene per le celebrazioni un po’ retoriche, ma la vita è un’altra cosa…”.
Sono convinto che non solo i cristiani, ma anche le persone serie e responsabili, come penso vogliamo essere tutti noi, a cominciare dagli alpini, non possono ritenersi soddisfatti di una risposta di questo genere. Ben sapendo che il mondo non è bianco e nero, che non ci sono, ben distinti, i bravi e cattivi (come si scriveva sulla lavagna nel secolo scorso, quando andavo a scuola), non ci sono solo due possibilità di azione. La vita è estremamente complicata già di suo e noi, spesso, ci impegniamo a complicarla ancora di più. Eppure non si può rinunciare al comandamento dell’amore e a vivere i valori che soli ci rendono umani.
Per nostra fortuna, abbiamo però degli aiuti che ci possono orientare nelle nostre scelte, che solo noi possiamo fare e di cui dobbiamo assumerci la responsabilità.
Dal punto di vista cristiano, esiste da sempre una riflessione in campo morale, che mette a confronto le situazioni concrete con il Vangelo per trovare una risposta adeguata. Una riflessione che negli ultimi decenni ha avuto una crescente importanza sui più vari temi, anche per impulso dei papi: cito solo papa Giovanni XXIII con la sua enciclica Pacem in terris di cui quest’anno ricorrono i 60 anni o gli interventi di papa Francesco sulla pace, sulla fraternità universale, sulla questione ambientale.
Ci sono, però, anche tante donne e uomini, che partendo da principi religiosi e anche laici, hanno aiutato e aiutano l’umanità a progredire, nonostante tutto, sulla via della comprensione e dell’attuazione delle esigenze della giustizia, del diritto, del rispetto di ogni persona e di ogni popolo. Sono considerazioni molto significative, spesso frutto di tragiche e dolorose esperienze, e meritano attenta considerazione.
Oltre alla riflessione, vorrei dare importanza anche o forse soprattutto alla testimonianza di tanti uomini e donne di ogni tempo, che hanno cercato di vivere esplicitamente il Vangelo e il comandamento dell’amore o comunque hanno ispirato la loro vita e le loro scelte, spesso pagate con grandi sofferenze, a valori autenticamente umani. La Chiesa talvolta propone queste persone come modelli per tutti dichiarandoli beate o sante ed è significativo che la Chiesa nei secoli abbia proclamato santi e beati uomini e donne di ogni categoria, dai re ai mendicanti, dai nobili agli schiavi, dai monaci ai militari, ecc. Ma anche in altre religioni e, comunque, all’interno dell’umanità non mancano testimoni di questo tipo. Non sono uomini e donne perfetti, che hanno compreso subito la strada giusta, che sono stati sempre coerenti con i loro principi, ma sono state comunque persone che non hanno fuggito le loro responsabilità e hanno cercato sempre la verità e l’amore.
Oggi abbiamo la gioia di avere qui sull’altare una reliquia del beato don Carlo Gnocchi, un beato che so molto caro agli alpini. Di lui si ricorda in particolare la sua partecipazione alla campagna di Russia e poi l’azione nel dopoguerra a favore dei cosiddetti mutilatini, fondando un’istituzione che porta il suo nome e tuttora opera a favore dell’età evolutiva e degli adolescenti, degli anziani, di chi soffre per gravi cerebrolesioni acquisite, dei disabili, dei malati terminali.
Ma la vita di don Carlo Gnocchi è stata molto più complessa e presenta una significativa evoluzione, sempre ispirata al Vangelo, partendo dal confronto con le circostanze in cui quell’uomo si è trovato. Accenno solo ad alcuni passaggi decisivi. Don Carlo è stato anzitutto da giovane prete, prima della seconda guerra mondiale, un grande educatore: certe sue conferenze, rivolte in particolare ai genitori, rilette oggi, sono ancora attualissime. In quegli anni don Gnocchi aderisce convintamente al fascismo, sia pure partendo da una visione religiosa. Va pertanto in guerra come volontario in Grecia, convinto della bontà dei motivi che avevano portato l’Italia a partecipare al secondo conflitto mondiale. In Montenegro si rende, però, conto della crudeltà della guerra, avendo assistito a rastrellamenti, rappresaglie, esecuzioni sommarie avvenute dopo una sollevazione contro le truppe italiane. Tornato in Italia non vuole più intervenire pubblicamente a sostegno della guerra. Parte però per la campagna di Russia con gli alpini, questa volta non perché crede nella guerra, ma per stare vicino ai suoi giovani. La lettura del suo libro “Cristo con gli alpini”, scritto al ritorno dopo la tragica ritirata, manifesta tutta la sua partecipazione al dramma di quei giovani e suscita ancora oggi una grande commozione. Dopo la Russia, si nasconde per un periodo in Svizzera e poi entra nella resistenza, contribuendo a salvare ebrei e prigionieri alleati. Viene per questo anche arrestato finendo nel carcere milanese di San Vittore. Già a guerra ancora in corso, si prende cura delle famiglie degli alpini caduti, degli orfani e avvia la sua opera a favore dei mutilatini, concludendo la sua vita con la donazione delle cornee, allora ancora non prevista in Italia.
Una vita varia e interessante, di un uomo guidato dalla fede, dall’amore verso Gesù e i fratelli – che siano gli studenti, gli alpini o gli orfani o i bambini mutilati – e capace di cercare la verità, anche rivedendo le proprie posizioni, e di impegnarsi per la giustizia, mettendosi in gioco in prima persona. Potremmo dire in sintesi che don Carlo Gnocchi ha cercato sempre di vivere, come poteva e riusciva ma con verità, il comandamento dell’amore: per questo la Chiesa lo ha dichiarato beato.
Proprio ricordando questo grande alpino, vorrei concludere augurando a tutti voi, in particolare agli appartenenti alla Sezione di Gorizia della Associazione Nazionale Alpini, di essere persone che non mettono mai tra parentesi il comandamento dell’amore e i valori autentici che stanno alla base della nostra società, cercando con responsabilità e impegno personale le vie giuste per attuarli, anche quando dovesse essere difficile e fosse persino necessario pagare di persona.