Cristo Salvatore, da 20 anni concattedrale

dal sito Voce Isontina

foto: Voce Isontina

Delle rose rosse, in mazzo e a colonna, in base alla composizione floreale: rose rosse, come lo stemma di Nova Gorica. Rose rosse come la varietà di fiore che Valdirose, o Rožna Dolina, porta il nome. Quel luogo che connette le due città con la sua conformazione a valle tra il Rafut e Šempeter. Quelle stesse rose hanno adornato, con sincera sobrietà ma quieta solennità, la concattedrale di Cristo Salvatore nella città slovena.
“Come ogni cattedrale ha la sede del vescovo, anche ogni concattedrale ha un trono episcopale. Come ricorda il Salmo 103: “Il Signore ha stabilito il suo trono nei cieli, e il suo regno domina su tutto l’universo”. Tuttavia, la missione del vescovo non è governare, ma insegnare, santificare e guidare il popolo che la Provvidenza gli ha affidato. Il trono episcopale in questa concattedrale ci ricorda i doveri del vescovo e ci invita a seguirlo lungo il cammino della speranza, affinché insieme diventiamo “pellegrini di speranza,” come Papa Francesco ci ha invitato a essere”.
L’arcivescovo metropolita di Lubiana, monsignor Stanislav Zore, ha così commentato, durante l’omelia, la celebrazione svoltasi a Nova Gorica, nella concattedrale di Cristo Salvatore in occasione dei vent’anni dall’elevazione a concattedrale della chiesa cittadina. Tra i presenti anche l’arcivescovo di Gorizia, monsignor Redaelli, il parroco di Nova Gorica, don Pregelj, e il delegato vescovile per Go!2025, don Vidmar.
“Oggi i nostri occhi si volgono anche a un altro trono, quello della croce, da cui Cristo regna. San Venanzio Fortunato scrisse un inno alla reliquia della croce, con il versetto che ci colpisce profondamente: Regnavit a ligno Deus (Dio ha regnato dal legno). La croce non cela nulla della realtà del Calvario: ci parla di sofferenza e amore. Se lasciamo che il nostro cuore parli, questa crudezza ci risveglia alla compassione, non solo per Cristo crocifisso, ma anche per tutti coloro che ancora oggi sono crocifissi dalla società, dalla politica e dall’avidità”, così ancora monsignor Zore.
“Un pensiero e una preghiera speciali vanno al vescovo di questa diocesi, monsignor Jurij Bizjak, che, a causa di problemi di salute, purtroppo non ha potuto presiedere questa celebrazione solenne. In questi momenti, il nostro pensiero di gratitudine si rivolge al compianto vescovo Metod Pirih, promotore della proclamazione di questo santuario a concattedrale. Dopo 25 anni alla guida della diocesi di Capodistria, scelse di riposare, dopo la morte, sul Monte Santo, forse anche perché da lì si vede gran parte della diocesi”.
“La Parola di Dio ci porta alle ultime ore di vita di Gesù. Di fronte a Pilato, l’opposizione tra il rappresentante del potere terreno e il Figlio di Dio diventa evidente. Pilato chiede: “Sei tu il re dei Giudei?” La risposta di Gesù non solo svela la verità, ma interpella anche la coscienza di Pilato, così come la nostra. Pilato si lavò le mani, ma nessun fiume può cancellare il peso del sangue innocente. Solo l’amore che regnò dalla croce può redimere. Guardando a Cristo Re, anche noi oggi preghiamo: “Signore, ricordati di noi nel tuo regno, affinché possiamo farne parte””, così l’arcivescovo di Lubiana.
Ad accompagnare la liturgia, concelebrata dai sacerdoti del decanato, il coro unito delle parrocchie di Nova Gorica, Kostanjevica, Kapela e Solkan che hanno eseguito, diretti da Irena Stubelj Marini¤ con l’accompagnamento organistico di Uroš Cej, la messa a quattro voci in onore di Santa Caterina di Vodopivec. Dall’alto del campanile il richiamo dei bronzi è stato curato da alcuni campanari dell’associazione Campanari del Goriziano.
Nova Gorica svolge un ruolo importante nella parte settentrionale della diocesi di Capodistria: collega i decanati della parte settentrionale della diocesi. Come Comune siamo lieti di questa acquisizione perché da vent’anni abbiamo la sede della concattedrale a Nova Gorica nella Chiesa di Cristo Salvatore», così il vicesindaco, Anton Harej.
«Personalmente, sono dell’opinione che solo il cristianesimo abbia il potere di unire le due nazioni vicine nell’amore fraterno. Attraverso la conoscenza della storia, ciascuno di noi può confessare la propria parte di colpa, chiedere perdono l’uno all’altro e vivere una nuova vita di riconciliazione e convivenza. Sarebbe questo il risultato più ricco della Capitale Europea della Cultura. Sono un utopista? Forse, ma è realizzabile», conclude Harej.