foto: Ivan Bianchi
dal sito Voce Isontina
Domenica 29 dicembre 2024, l’Arcivescovo Carlo ha presieduto la solenne liturgia di inizio dell’Anno giubilare. Dopo essersi ritrovati innanzi la chiesa dei padri Cappuccini i fedeli processionalmente hanno raggiunto la cattedrale dove è stata celebrata l’eucarestia. Lungo il tragitto c’è stata la sosta presso la Casa circondariale alla cui porta l’arcivescovo ha significativamente bussato.
Celebriamo la solenne apertura dell’anno giubilare nella nostra diocesi all’interno della festa della Santa Famiglia. Lo compiano vivendo esattamente quello che papa Francesco ha scelto come motto di questo anno santo del 2025: “pellegrini di speranza”. Ci siamo, infatti, messi in cammino dentro la città, tra le nostre case, i luoghi del lavoro, di commercio, di studio, di cura dove la gente vive e spera pur tra fatiche e difficoltà, ma anche toccando i luoghi di attenzione fattiva verso la povertà: la mensa dei cappuccini e il luogo di accoglienza a “bassa soglia” gestito dalla Caritas in piazza San Francesco. Siamo passati anche vicino al carcere perché nessuno deve sentirsi escluso, persino quando viene sanzionato dalla comunità, soprattutto in quest’anno giubilare dove papa Francesco ha aperto una porta santa in un carcere. Vogliamo continuare per tutto quest’anno il pellegrinaggio della nostra vita, come il Signore ci concederà, ma sapendo che l’anno santo è tale perché – come ci ha ricordato l’evangelista Giovanni nella seconda lettura – possiamo esclamare con gioia: «vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!».
Dicevo che iniziamo l’anno giubilare nella festa della Santa Famiglia, una festa che non ci propone come modello da imitare la Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe nella sua singolarità (nessun bambino è come Gesù, come nessuna mamma è come Maria e nessun papà come Giuseppe), ma nella sua “normalità”, vissutasempre sotto lo sguardo santo di Dio. I trent’anni di Nazaret, a parte l’episodio raccontato nel Vangelo di oggi, sono stati infatti anni assolutamente normali: una famiglia come tante altre in quel villaggio della Galilea, con l’impegno faticoso del lavoro, i momenti di festa e di lutto, le relazioni con gli altri; e Gesù, un bambino, un adolescente e poi un uomo esternamente non diverso da altri suoi compaesani. Mi pare allora che l’invito sia quello di vivere l’anno santo nella normalità della nostra vita: certo con alcuni gesti speciali, come quello che stiamo vivendo o i pellegrinaggi che faremo per decanato qui in cattedrale nelle domeniche di quaresima e soprattutto il pellegrinaggio diocesano a Roma nel mese di ottobre. Tutte esperienze, però, che ci vogliono aiutare a vivere la santità della vita di ogni giorno.
Proprio nella normalità, vorrei proporre a tutti di vivere due aspetti tipici del Giubileo. Il primo è molto evidenziato nella bolla di indizione dell’anno santo ed è stato ripreso anche nella letterapastorale: si tratta della speranza. Non riprendo quanto suggerito da papa Francesco e dalla lettera pastorale circa i segni di speranza: potete rileggere i due documenti e verificare come si stanno attuando nelle vostre comunità. Mi limito invece a indicare due semplici atteggiamenti per essere nella vita di ogni giorno uomini e donne che ricevono e portano speranza.
Il primo è quello di renderci maggiormente conto di ciò che gli altri fanno per noi di bello e di buono e che non ci fa sentire soli, ci incoraggia, ci dà speranza. Esiste una maniera semplice per farlo: dire grazie. Il secondo modo di agire è esattamente speculare, impegnarsi a essere noi a offrire piccoli gesti che diano attenzione agli altri, soprattutto a chi è più in difficoltà: stare accanto, ascoltare, rassicurare, compiere azioni concrete di aiuto.
Un secondo aspetto tipico del giubileo, fin dalla sua istituzione all’interno del popolo di Dio, come ci attestano diverse pagine bibliche, è la remissione dei debiti. Anche in questo caso suggerisco due impegni da vivere lungo l’anno santo.
Il primo riguarda il “debito” verso noi stessi. Intendo dire che ognuno di noi, rispetto alla bellezza e alla dignità di figlio e di figlia di Dio, ha dei debiti, delle situazioni di pesantezza, di oscurità, di ambiguità non risolte che ci impediscono di vivere in pienezza la serenità e la gioia tipici di chi ha Dio come Padre. Non sto suggerendo di andare da psicologhi o altri specialisti per affrontare queste problematiche: se abbiamo bisogno di assistenzaper la nostra umanità è saggio comunque farsi aiutare. Ho, infatti,volutamente parlato di dignità di figli di Dio e non semplicemente di benessere psicofisico umano. La questione è chi sono davanti a Dio, davanti a quello che posso intuire essere il suo disegno di amore sulla mia vita, il suo progetto, il suo “sogno” su di me. Mettersi come siamo davanti a Lui, avendo il coraggio di andare sotto la superficie della banalità di ogni giorno: ci vuole tempo, silenzio, coraggio di essere noi stessi. Ho affermato che è un debito verso noi stessi, ma, come vedete, è anche un debito verso Dio, verso il suo amore per ciascuno di noi. Il Signore non è un giudice pronto a condannarci, non è qualcuno che vuole tormentarci con rimproveri e minacce, ma un padre, che come tutti i padri, vuole che ci realizziamo in pienezza. Dio non è mai arrabbiato con noi, caso mai, sì, è dispiaciuto, per così dire deluso,perché non capiamo e non viviamo la bellezza di quello che siamo. Ma non perde la speranza in noi. Anche Lui spera! Non sprechiamo l’occasione dell’anno santo per questo cammino di verità verso di noi e verso di Lui.
L’altro impegno riguarda i debiti che abbiamo vicendevolmente gli uni verso gli altri. Non sto parlando di debiti di soldi, ma di relazioni, di rapporti, di amore. Quante rotture, quante divisioni, quanti dissapori, quanti rancori possiamo avere nel cuore che si sono accumulati nel corso della vita. L’anno santo potrebbe essere l’occasione per superare questi debiti.Naturalmente con molta saggezza: non è sempre bene riprendere vecchie questioni, riaprire ferite che ormai si sono cicatrizzate, affrontare in modo esplicito situazioni di tensioni. Anzitutto occorre, con l’aiuto del Signore, tutto un lavoro personale di purificazione del cuore, della mente, dei ricordi, delle emozioni.
E poi, se ci viene data l’occasione o riusciamo a crearla, è possibile dare agli altri dei segni di riconciliazione, magari solo simbolici e allusivi, ma capaci di far intuire che, pur con molto dispiacere per ciò che non si è riusciti a evitare, per le ferite ricevute e per quelle che abbiamo inferto più o meno volutamente, c’è almeno un desiderio di perdono e di riconciliazione.
Speranza e remissione dei debiti: non sono due aspetti separati del giubileo. Perché è la speranza, una speranza affidabile in quanto fondata sull’amore di Dio, ciò che ci permette di fare un cammino di riconciliazione e di verità. E, insieme, è l’impegno di superamento per quanto possibile dei debiti, ciò che può rendere ancora più forte e convinta la nostra speranza. Buon pellegrinaggio di speranza e di riconciliazione in questo anno santo. Il Signore vi accompagni!