“Secondo il suo solito”

«Secondo il suo solito». Vorrei soffermarmi con voi in un momento di riflessione su questa espressione, in apparenza insignificante, contenuta nel passo del Vangelo di Luca appena proclamato. Si tratta di un’annotazione che si riferisce alla presenza di Gesù nella sinagoga: quel sabato è sicuramente eccezionale per il commento che egli fa al brano di Isaia, ma è assolutamente normale per il suo frequentare ogni settimana la sinagoga di Nazaret. È così come per tutti gli ebrei fin da quando il figlio di Maria e di Giuseppe è diventato adulto anche dal punto di vista religioso a 13 anni. Ma è un’annotazione importante perché apre una finestra sui 30 anni di Gesù a Nazareth: una vita “solita”, potremmo dire assolutamente “ordinaria”. Fatta di quotidianità, di relazioni familiari e sociali più o meno intense (e talvolta anche conflittuali), di lavoro, di giochi di bambini, di ritualità come i sabati in sinagoga e i pellegrinaggi a Gerusalemme, di momenti di festa come in occasione delle nozze (e le nozze di Cana raccontate dal Vangelo di Giovanni ne sono un esempio), ma anche di dolore e sofferenza per le malattie, le morti, talvolta le sopraffazioni dei soldati.
Riferendomi all’esperienza di Gesù a Nazareth vorrei proporvi un elogio della vita ordinaria che diventa, rivolgendomi oggi a preti e a diaconi, anzitutto un elogio della “pastorale ordinaria”.
Un primo elogio, un grazie, va a voi, cari presbiteri e diaconi impegnati ogni giorno nella normalità delle parrocchie e delle unità pastorali assieme a tante persone, uomini e donne, che nei diversi ministeri sono a servizio della vita ordinaria della gente. Un grazie e un augurio speciale a chi ricorda quest’anno un significativo anniversario dell’ordinazione presbiterale o diaconale.
Esistono – e sono sicuramente un dono indispensabile per la Chiesa – preti e diaconi, consacrati e laici che per carismi personali o anche in risposta a determinati incarichi ricevuti, sono impegnati in pastorali di “frontiera” e di “periferia”. Anch’essi vanno elogiati e ringraziati, per la loro generosità e il loro impegno che a volte può essere persino definito (ma senza troppa retorica…) “profetico”. La comunità cristiana però non ha bisogno solo di profezia e vive anzitutto di quel “pane quotidiano” offerto da preti, diaconi, consacrati e laici senza particolari qualifiche se non il fatto di sentirsi responsabili della vita di una comunità cristiana.
Un secondo elogio va allora indirizzato alla “pastorale ordinaria”, che è una pastorale destinata alla generalità del popolo di Dio, dove “generalità” non è sinonimo di “genericità” o di trascuratezza. Tutt’altro! Ed è molto incoraggiante incontrare comunità dove anche i dettagli sono curati, la chiesa è pulita e i segni liturgici sono evidenti, i fiori sull’altare sono sempre freschi, i canti sono scelti con precisione, il centro di ascolto della Caritas è bello e accogliente, le catechesi sono preparate con sensibilità pedagogica, le omelie non sono mai improvvisate, i poveri non sono trascurati, i fedeli possono essere ascoltati e i malati possono ricevere regolarmente – se lo desiderano – l’Eucaristia e così via. Quanto questa “pastorale ordinaria” sia impegnativa lo sappiamo, anche in considerazione delle amarezze e delle delusioni – ma ci sono anche le gioie… – che talvolta essa riserva in questo tempo in cui viviamo un “cambio d’epoca”, con il crepuscolo di un modello tradizionale di fede e la difficoltà nel trovare nuove modalità di trasmissione di essa. Anche in questo caso è giusto elogiare ciò che va al di là dell’ordinario come le pastorali specializzate, ma solo se manifestano uno sguardo di particolare attenzione verso persone e situazioni che altrimenti rischierebbero di essere trascurate. Non certo, però, per frammentare la pastorale in una serie di ambiti recintati, con persino la possibilità di chiudere le persone in “ghetti pastorali”. O, anche, con l’altrettanto rischio di offrire attenzione solo ad alcuni settori ritenuti più consoni alla comunità cristiana. Che senso avrebbe, in ipotesi, una pastorale del lavoro che si interessi delle cooperative sociali e in genere delle realtà non profit, ma non delle aziende profit dove la maggior parte della gente lavora? O una pastorale scolastica preoccupata di curare le sole scuole cattoliche e non il mondo della scuola nel suo insieme? O una pastorale caritativa che non sappia valorizzare i soggetti del volontariato che non siano “caritas”? O ancora una pastorale della pace, che organizzi percorsi di educazione alla pace, eventi e marce, ma non prenda in carico chi lavora nelle forze armate?
Un terzo elogio deve essere indirizzato a quelle comunità dove tutti si sentono o comunque possono sentirsi “a casa” e non solo in occasione di qualche giornata specializzata, ma ogni giorno, nella quotidianità. Comunità che hanno la precisa convinzione di fede che ogni uomo e ogni donna ha la dignità di figlio e di figlia di Dio, comunque e a prescindere dalle diverse situazioni. E che per tutti il Vangelo è una “buona notizia”. Non certo a buon mercato, perché è costata il sangue di Cristo, e interpella in modo esigente la libertà e quindi la responsabilità di ciascuno. Si tratta di comunità realmente evangeliche, appassionate del Regno di Dio e per questo capaci di amare ogni uomo e ogni donna e di trovare l’opportunità di proporre a ognuno, nei modi e nei tempi che lo Spirito suggerisce, la bellezza esigente del Vangelo. E la sanno declinare nella concretezza della vita di ciascuno. Per esempio, aiutando a scoprire il senso – insieme umano e cristiano – del lavoro o anche l’importanza dei valori che stanno alla base della convivenza sociale come quello della vita (da rispettare e promuovere dal concepimento alla morte), della dignità di ogni persona, della libertà, del bene comune, del rispetto del creato e così via.
Un ultimo elogio spetta ai battezzati, preti e diaconi compresi, che per grazia del Signore sono riusciti a trovare e a mantenere nel tempo una “regola di vita quotidiana” in modo che le loro giornate vedano con fedeltà la presenza dell’ascolto della Parola, della preghiera, dell’impegno responsabile nei propri compiti, di relazioni ricche e autentiche, di studio e di riflessione, di distensione e di riposo, insomma di tutto ciò che rende piena e umana la vita. E che ha reso piena e umana quella dell’uomo Gesù, nel suo vivere per 30 anni «secondo il solito». Proprio vivendo così si è preparato alla sua missione di evangelizzatore e soprattutto al dono di sé sulla croce che celebriamo in questi giorni.
Buona Pasqua – Vesela velika Noč – Buine Pasche.

+ vescovo Carlo

Immagine e articolo: Voce Isontina

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