“Caro Vescovo, cosa pensa dei ragazzi d’oggi? E invece del futuro d’oggi? Anche lei aveva paura del futuro o delle proprie scelte?”. Così mi ha scritto una ragazza che ho incontrato recentemente insieme alle ragazze e ai ragazzi della sua parrocchia che riceveranno presto il sacramento della Cresima. Una certa preoccupazione per il futuro ricorre sempre nelle lettere che i cresimandi mi scrivono e anche nei dialoghi con loro. Una preoccupazione che non è una novità e che è del tutto comprensibile per ragazzi e ragazze di quella età (anche di quelli, come me, del… secolo scorso), che devono scegliere la scuola superiore, che non sanno ancora bene che cosa fare da grandi, che si aprono all’amicizia e agli affetti (a volte avendo vissuto e vivendo esperienze dolorose di separazione dei genitori e, talvolta, anche dei nonni…). Ma in questo tempo giustamente li impensierisce non genericamente il futuro, ma – come ha scritto quella ragazza – “il futuro d’oggi”. Anche noi adulti ne siamo preoccupati: non possiamo negarlo. Si può dire che i primi 25 anni del nuovo secolo non hanno che aumentato le nostre paure ed ansie: l’attentato alle torri gemelle, il terrorismo, le guerre, la crisi economica del 2008, la pandemia, la denatalità, altre guerre più vicine a noi, il venire meno degli equilibri mondiali, i dazi, eccetera. Come sarà il futuro? E non tanto quello tra 10, 20, 30 anni, ma già tra un mese o un anno? Esistono delle certezze, dei punti fermi, delle speranze?
C’è un motto dei certosini che mi ha sempre colpito per la sua forza evocativa e per il suo realismo pieno di speranza: “stat crux dum volvitur orbis”. La croce sta, è in mezzo, è certezza. Tutto il resto gira, va avanti. Può essere inteso come tutto passa, solo la croce resta, ma anche tutto procede, spesso caoticamente, nella storia umana, ma, che lo si sappia o no, c’è un perno che dà senso a tutto. La croce resta salda in mezzo ai cambiamenti e agli sconvolgimenti del mondo e dà senso e saldezza a questi sconvolgimenti. Ma esiste un’altra espressione che riguarda la croce, che può essere vista come complementare al motto dei certosini ed è contenuta nell’inno “Vexilla regis”, che si canta ai vespri nella settimana santa, “o crux, ave, spes unica”. Salve, o croce, unica speranza. La croce è la certezza e per questo è la speranza. La croce, ossia l’amore di Dio verso di noi che arriva fino al sacrificio del Figlio di Dio divenuto uomo, appeso a quel patibolo. La croce dice che questo amore è ciò che resta e dà senso a tutto e può sostenere la speranza. Perché la croce è diventata il vessillo del Risorto.
“Pellegrini di speranza”, ci ha chiesto di essere in questo anno santo papa Francesco. Lo si può essere camminando con gli uomini e le donne di oggi, in un percorso spesso tutt’altro che lineare e agevole, avendo in mano non un bastone generico, ma il legno della croce. “Pellegrini di speranza” dobbiamo esserlo noi adulti anche per i ragazzi e le ragazze di oggi a cui non dobbiamo permettere che il futuro sia rubato. Ma devono esserlo anche loro con le loro ansie, ma soprattutto con i loro sogni e il desiderio, che deve essere di tutti, di amare e servire l’umanità nelle piccole e grandi responsabilità di ciascuno. Ben sapendo che i cristiani, senza alcuna pretesa né superiorità, hanno una responsabilità in più rispetto agli altri, quella di ricordare a tutti che c’è qualcosa che rende la speranza dell’umanità non un vago auspicio ma una certezza: la croce di Cristo, la sua Pasqua di morte e risurrezione.
Buona Pasqua – Vesela velika Noč – Buine Pasche.
+ Carlo Roberto Maria Redaelli
(In foto: Maria Maddalena e il Risorto, chiesa di S. Antonio abate – Belvedere)