Omelia dell’Arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli per la festa dei Santi Ilario e Taziano, patroni di Gorizia, 16 marzo 2021
La festa dei patroni di una città si ripete ogni anno, ma ogni volta ha una connotazione diversa. Se, infatti, non vuole essere una celebrazione astratta e fuori del tempo, essa si incarna nella concretezza delle vicende della città. Del resto se i patroni compiono bene il loro “lavoro” di intercessori per noi – cosa che nella fede siamo certi – è ovvio che non pregano per la nostra città in termini generici, ma riferendosi a quello che stiamo vivendo in questo preciso momento storico.
Viene immediato pensare alla pandemia che ci sta affliggendo da oltre un anno e che in queste settimane vede una preoccupante recrudescenza. La preghiera dei santi Ilario e Taziano, insieme a quella dei patroni di ogni città del mondo (perché tutta l’umanità è coinvolta da questo flagello), ci è del tutto necessaria e oggi vogliamo invocarla per i malati, per i loro familiari, per chi li cura ed è impegnato nella lotta alla pandemia ai vari livelli e per chi ha terminato la propria vita terrena.
Ma c’è un’altra circostanza che tocca in modo speciale la nostra città, una realtà per fortuna positiva e connotata da grandi potenzialità, cioè la designazione di Gorizia insieme alla città sorella di Nova Gorica come una delle due capitali europee della cultura nell’anno 2025. Vorrei soffermarmi su questo fatto, non certo per trascurare la preoccupazione che tutti abbiamo per la pandemia, ma per guardare con speranza verso il futuro.
Partirei da una considerazione che penso non scontata. I nostri patroni sono dei martiri. Ma che cosa ha causato il loro martirio? Stando alle tre letture della Scrittura è facile rispondervi. La prima sottolinea la calunnia e la menzogna utilizzate dagli avversari del giusto. San Paolo, nella seconda lettura, afferma che i martiri cristiani sono tali a causa di Gesù e della fedeltà a Lui. La stessa cosa è ribadita dal Vangelo, che sottolinea il fatto che il discepolo che dà la vita per Gesù è qualcuno che ritiene la fede nel Signore più importante della propria vita e persino del mondo intero e per questo non si vergogna di Gesù e delle sue parole.
Tutto questo è vero, ma se guardiamo storicamente alle persecuzioni dei cristiani nell’epoca dell’impero romano, dobbiamo riconoscere che esse erano dovute anzitutto a una questione culturale. I Romani, infatti, non erano persone particolarmente crudeli e sadiche che si divertivano ad ammazzare la gente… e l’impero romano, lo sappiamo, era per molti aspetti uno stato che tutelava i diritti e cercava il valore della giustizia. Se i cristiani erano perseguitati fino al punto di essere in molti condannati a morte – in particolare chi aveva un ruolo di guida all’interno della comunità cristiana come è il caso dei nostri patroni – era perché la proposta di vita cristiana, potremmo dire la cultura cristiana, era sentita come alternativa alla cultura romana.
Ovviamente mi sto riferendo a un concetto alto di cultura, intesa quindi come una forma mentis capace di determinare la vita, i modi di essere, di pensare, di sentire (anche a livello emozionale), di agire. Ciò che è alla base di una cultura vista in questa accezione è la capacità di interpretare la vita in riferimento a un quadro di valori che ne dà il senso profondo, il solo che può spiegare il perché la vita è degna di essere vissuta.
Il cristianesimo trova questo senso profondo in Gesù e nel Vangelo. Un significato che non è dato solo da una somma di saggi valori – Gesù non è solo un sapiente –, neppure da una serie di precetti morali – Gesù non è solo un maestro – e neanche da una coerenza di vita – Gesù non è solo uno che è morto per le proprie idee –, ma dal riconoscere in Gesù il Figlio di Dio che si è fatto uomo per amore e che nel dono di sé manifestato nella croce glorificata dalla risurrezione svela ciò che è decisivo per ogni uomo e per ogni donna di questo mondo.
I Romani hanno giudicato questa proposta culturale e non solo religiosa come alternativa al proprio modo di vedere e di vivere e per questo hanno reagito violentemente. In realtà l’alternativa riguardava soprattutto la sovrapposizione tra religione e impero. I cristiani erano paradossalmente accusati di ateismo, perché non veneravano gli dei che stavano alla base del potere imperiale e proponevano altrettanto paradossalmente quella che oggi possiamo chiamare una visione laica del potere dello stato, uno stato cui da sempre volevano essere sudditi fedeli (oggi diremmo cittadini leali) purché non si identificasse con la divinità.
Per il resto però l’alternativa tra cristianesimo e cultura romana non era poi così vera e tutta la storia dell’Europa da Costantino fino ai nostri giorni lo ha ampiamente dimostrato. E lo stesso cristianesimo ha accolto con larghezza gli apporti della cultura romana o, meglio, greco-romana, innestati nella radice della rivelazione ebraica.
Ho fatto solo degli accenni veloci e sicuramente imprecisi, ma mi interessava sottolineare il fatto che la cultura, di cui la nostra città tra qualche anno dovrebbe essere con Nova Gorica una realtà altamente simbolica, non può essere ridotta a qualche evento, a qualche valorizzazione di beni artistici, a qualche ripresa di vicende storiche e così via. La cultura è appunto qualcosa di molto più significativo e impegnativo e responsabilizza in misura notevole la nostra città, se vuole essere appunto capitale della cultura. E ciò in particolare se si fa un’inversione dei termini. Mi spiego: si dice correttamente che Gorizia con Nova Gorica sarà “capitale europea della cultura”. E se invece si affermasse che Gorizia con Nova Gorica sarà “capitale della cultura europea”?
E’ chiaro che tutto cambierebbe. Vorrebbe dire che ci viene chiesto, certo con la consapevolezza dei nostri limiti ma con verità, di farci carico della domanda sulla cultura dell’Europa oggi. Qual è l’attuale visione del mondo degli Europei? Qual è il senso del nostro vivere? Quali sono i valori che stanno alla base della nostra vita e ne determinano le scelte nei momenti difficili – e questo tempo lo è – e anche in quelli più normali? Valori che abbiamo o dovremmo avere la pretesa di proporre all’intera umanità in un dialogo fecondo con altri continenti e culture.
Domande eccessive per noi? Ma il fatto che le nostre due città sono collocate non alla periferia ma in una posizione centrale dell’Europa e in particolare su un confine dove il mondo latino da sempre dialoga, si confronta, si mescola con il mondo slavo ci costringe, in un certo senso volenti o nolenti, ad assumere questa responsabilità. Quando ho ricevuto il biglietto autografo del Presidente della Repubblica – che ancora ringrazio per la grande attenzione che più volte ha manifestato per la nostra città – mi ha molto colpito, al punto da apparirmi persino eccessiva, la sua affermazione circa l’esemplarità per tutta Europa delle due città per un nuovo e proficuo futuro comune. Ma è un’affermazione vera e una prospettiva impegnativa e affascinante per il lavoro che ci aspetta nei prossimi anni.
A questo impegno, voglio dirlo oggi all’intera città, la comunità cristiana di Gorizia non si vuole sottrarre. Come attesta la festa odierna, essa è erede di una tradizione millenaria, di cui esistono significative testimonianze di grande pregio storico e artistico, e nella sua limitatezza dell’oggi sa di poter offrire in questo periodo di difficile transizione la bellezza e la freschezza del messaggio evangelico. Quel messaggio per il quale sono morti i nostri patroni, quel messaggio che ha innervato la cultura della nostra Europa e che da secoli ormai si è incarnato nelle culture di tutti i popoli del mondo, grazie alla sua dimensione cattolica universale. Quel messaggio che è dato dalla Pasqua che tra qualche giorno celebreremo, la morte e la risurrezione di Gesù che offrono la possibilità di vedere anche in ogni situazione di sconfitta e di crisi un’occasione imperdibile di riscatto e di ripresa grazie all’azione salvifica di Dio. Vogliamo con semplicità essere testimoni di questo messaggio, declinato per l’oggi con il respiro di universalità e di novità che papa Francesco ci propone, attraverso la vita di relazione delle nostre comunità, l’azione educativa verso le nuove generazioni, l’impegno caritativo a favore dei poveri, la custodia e la valorizzazione di quanto di bello e di valido ci è stato consegnato dal passato, la collaborazione sincera e leale con le istituzioni, il confronto e la ricerca della verità con tutte le persone di buona volontà.
I santi Ilario e Taziano sostengano oggi i nostri propositi e quelli di tutti e benedicano la nostra città perché viva con coraggio, fiducia e speranza la responsabilità verso se stessa, la sua storia e il suo futuro dentro la realtà dell’Europa.