Articolo e immagine: Voce Isontina
La sera di sabato 8 febbraio 2025, l’arcivescovo Carlo ha presieduto nella chiesa di San Valentino a Fiumicello la Santa messa nel corso della quale è stato ricordato anche Giulio Regini a nove anni dalla barbara uccisione.
Vorrei partire in questa riflessione da un particolare che colpisce nel brano di Vangelo che abbiamo appena ascoltato. Si dice che c’è tanta folla che ascolta Gesù a tal punto che deve mettersi sulla barca di Simone per farsi sentire da tutti: «la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio […] Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca». Ma non si afferma niente circa quello che Gesù dice. Sembra così importante, eppure l’evangelista non presenta il contenuto della predicazione di Gesù. Annota soltanto: «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”». Chissà se Simone e i suoi amici si erano messi in ascolto di Gesù, oppure se avevano continuato a fare il loro lavoromentre il Signore parlava… «I pescatori erano scesi e lavavano le reti»: non possono perdere tempo se vogliono essere pronti per un altro tentativo di pesca, visto che quella notte non avevano preso niente.
Comunque Gesù, terminato di parlare alla folla, si rivolge a Simone e lo invita a prendere il largo e a gettare le reti. Simone si fida. Non si dice se Gesù resta sulla barca, ma sembra di sì se Simone si getta alle sue ginocchia quando vede il miracolo di una quantità enorme di pesci al punto da richiedere l’aiuto di un’altra barca. Anche in questo caso c’è però un particolare che colpisce: quella quantità enorme non viene venduta, ma alla fine resta lì sulle barche tirate a riva, perché a conclusione Simone e i suoi amici lasciano tutto e seguono Gesù: «tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono».
Lo seguono perché Gesù ha detto a Simon Pietro: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E glielo dice proprio quando Pietro si sente peccatore, spaventato davanti a Gesù come Isaia davanti a Dio (lo abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito…»). Il centro dell’episodio del Vangelo non sono quindi le parole di Gesù, che l’evangelista non riporta, e neppure lo è il miracolo, ma il compito che Gesù affida a Pietro e ai suoi amici. Un compito il cui contenuto fa loro intuire partendo dalla loro esperienza e dal loro mestiere di pescatori: diventare pescatori di uomini.
Che cosa vuol dire? Che gli uomini sono come dei pesci da prendere all’amo? Gente un po’ ingenua che abbocca, come capita anche oggi con le varie truffe? No, in realtà il Vangelo, che è scritto in greco, usa un verbo un po’ difficile da rendere in italianoche significa non tanto “pescare”, ma “tirare fuori vivi”. Per capirlo, occorre ricordarsi che il mare era visto allora come il simbolo del male. Quindi succede il contrario che con i pesci che se escono dal mare, dall’acqua muoiono; gli uomini, invece, se tirati fuori dal male, vivono, ritrovano una loro vita, una loro dignità.
Simone e gli altri apostoli hanno allora questo compito, nonostante i loro limiti e i loro difetti che anche un altro grande apostolo ricorda, san Paolo: «sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana». E il compito è annunciare la salvezza che ci viene donata da Gesù, dal fatto che Lui è morto per i nostri peccati ed è risorto per darci vita.
Si parla di peccati, perché il male non è qualcosa che c’è come c’è il mare o qualsiasi altra cosa. Il male nel mondo c’è perché qualcuno lo vuole, lo sceglie. Nasce dalla testa e dal cuore delle persone, non è qualcosa di automatico. La salvezza che ci propone Gesù va in profondità e cioè al cuore delle persone, vuole guarire le persone nella loro intimità. Il compito degli apostoli, ma direi di ogni cristiano è annunciare questa salvezza. Non solo, però, a parole ma con fatti concreti di difesa della giustizia, della pace, della dignità della persona. Sia reagendo alle ingiustizie, sia dandosi da fare per prevenirle (pensiamo a tutto il grande lavoro educativo necessario fin dalla scuola: se si è bulli da piccoli, chissà quando si diventa grandi…). E non da soli, ma con tutti gli uomini e le donne che si impegnano in questo e aiutando tutti ad andare al profondo delle cause del male e dell’ingiustizia che si trova nel cuore delle persone, un cuore che solo Dio, con le strade che Lui sa, può guarire.
Stasera vogliamo ricordare in modo particolare in questa Messa Giulio. Vogliamo pregare per lui, per i suoi genitori, la sorella e tutte le persone che gli hanno voluto bene e tuttora gliene vogliono. Vogliamo ricordare il suo impegno per la giustizia, la pace, la dignità delle persone ed essere vicino a chi cerca per lui verità e giustizia a partire dai suoi genitori. Purtroppo nel mondo di oggi le ingiustizie e le violenze verso in particolare persone indifese sembrano non finire mai, anzi diventare sempre più raffinate, più violente, più cattive. Questo ci preoccupa molto, anche perché sembrano saltare quelle poche, fragili, ma significative tutele della giustizia e della pace garantite dalle istituzioni internazionali, nate dopo il dramma della seconda guerra mondiale e sviluppatesi nei decenni successivi anche dentro il non facile contesto della cosiddetta guerra fredda. Oggi, purtroppo, la guerra è molto “calda” in diverse parti del mondo e sembra che non ci siano più luoghi dove tentare di trovare giustizia e avviare percorsi di riconciliazione.
Non dobbiamo però essere pessimisti e perdere la speranza. Ci sono ancora dei segni positivi: un paio di ore fa ero in piazza Transalpina, con i due presidenti della repubblica italiano e sloveno e tante persone, per l’avvio ufficiale di Nova Gorica e Gorizia insieme capitale europea della cultura. Un bel segno che speriamo faccia crescere qui da noi la voglia e l’impegno per la pace, la giustizia, la riconciliazione.
Come cristiani non possiamo rinunciare alla speranza e la speranza è ciò che papa Francesco ci ha proposto in questo Giubileo del 2025: “pellegrini di speranza” è il motto dell’anno santo. Impegniamoci allora a essere persone che camminano e portano speranza, senza scoraggiarsi, vedendo, nonostante tutto, i segni positivi che ci sono e lavorando per la giustizia e la pace, confidando nella grazia del Signore che sola può guarire i cuori.